Famiglia: far della crisi una nuova opportunità.

Un convegno in Vaticano tra decine di studiosi internazionali avviene mentre la magistratura scoperchia uno scandalo ai parioli dove la crisi della famiglia e dei valori più comuni tocca un nuovo culmine. In questo convegno si è parlato del rapporto tra generazioni per fare un po’ di luce su un tema che manifesta la profonda crisi in cui oggi versa la società. È difficile sopravvalutare l’importanza del rapporto tra le generazioni, perché si tratta di una struttura antropologica fondamentale sia sotto il profilo dell’esperienza personale sia sotto quello dei legami sociali e quindi della configurazione della civiltà stessa. In effetti, se rappresentassimo il susseguirsi delle generazioni come i piani di un palazzo, noi stiamo correndo il rischio di costruire i diversi piani del palazzo senza mettervi più gli ascensori né realizzare le scale. I piani restano tra loro isolati e costretti all’autoreferenzialità. Ma è angosciante viverci. Potremmo paragonare questa stato di cose a quel «disagio della civiltà» di cui parlava Freud. Per questo è molto urgente che le generazioni ritrovino la via per comunicare. Le cronache nere e quelle rosa sono sempre più tristemente segnate da drammi umani che coinvolgono adulti e ragazzi in un vortice drammatico. Basti pensare a quel che è accaduto a novembre ai parioli dove giovani sono adescati da adulti in una normalità avvelenata che si gioca tra denaro e internet con la complicità dei genitori.
Occorre francamente riconoscerlo: la generazione adulta attuale ha in larga misura mancato la sua responsabilità. Spesso semplicemente non c’è stata, occupandosi solo di se stessa oppure pensando di saturare di merci e di consumi il paesaggio in cui le nuove generazioni sono nate e hanno cominciato a muoversi. La scena di quel «misterioso appuntamento tra le generazioni» non deve essere disertata dagli adulti e neppure occupata per intero. Nella scena occorre starci, ma con la consapevolezza del proprio limite e nella prospettiva di lasciare il campo.
La questione del rapporto positivo tra le generazioni è decisiva perché costitutiva della civiltà, di tutte le civiltà. Dobbiamo fermarci e riflettere, esaminare e individuare nuove prospettive. Il disagio dei giovani di oggi non sembra più causato da una eccessiva presenza del padre, come poteva accadere nel recente passato quando si sentiva l’urgenza di liberarsi dal padre. Oggi il padre sembra «evaporato». E il dramma appare l’opposto: i giovani si sentono abbandonati e attendono un ritorno della paternità, un punto su cui poggiare il loro domani. In effetti c’è come un’inedita domanda di padre. Per riprendere l’immagine della mitologia greca, assieme a Massimo Recalcati, si potrebbe dire che i giovani si sentono come Telemaco: stanno in riva al mare e scrutano l’orizzonte aspettando che il padre ritorni e metta ordine nell’isola dominata e saccheggiata dai Proci.
Mi chiedo, tra l’altro, se qualcosa del padre non sia tornato con Papa Francesco che non a caso, certo, continua a raccogliere persone provenienti da ogni dove e di qualunque età. È ri-iniziata un’alleanza? Ovviamente ce lo auguriamo. E comunque fa riflettere che questa alleanza si riaccenda in un contesto religioso che appare più fresco, più largo.
Nell’intera tradizione biblica, sia giudaica che cristiana, l’alleanza tra le generazioni è centrale. Basti pensare al fatto che la trasmissione della fede nella Scrittura assume la forma della narrazione dei padri ai figli di quanto Dio ha fatto per il suo popolo. Generare e narrare: «Ciò che abbiamo udito e conosciuto, che i nostri padri ci hanno raccontato, non lo terremo nascosto ai nostri figli, che racconteranno alla generazione seguente le lodi del Signore, e la sua potenza, le meraviglie che egli ha compiuto» (Sal. 78). Tutta la storia biblica è innervata sulla trama del succedersi delle generazioni.
La difficoltà nel rapporto tra generazioni riguarda anche semplicemente la trasmissione dei valori fondamentali dell’umano. In un’epoca di vertiginoso cambiamento sociale, economico, valoriale, la generazione adulta rischia di vivere come inutile o irrealizzabile il passaggio del testimone, consegnare ai giovani gli “attrezzi” per vivere. Qualcuno parla anche di un inedito nella storia dell’Occidente, di una sorta di cesura nella successione tra le generazioni. Quando i figli sono capaci di utilizzare le tecniche infinitamente meglio dei genitori, si può trasmettere ancora qualcosa a chi viene dopo di noi, ai nostri figli? C’è qualcosa che vale la pena di trasmettere? Sono domande radicali che spesso inquietano i padri e le madri di oggi, mettendone in discussione l’impegno e la tenuta nella dedizione. Il rischio è che i padri e le madri si percepiscano come l’ultimo anello di una catena ormai spezzata. E tuttavia, la nitida percezione della crisi in atto non deve indurre alla tentazione di idealizzare il passato o di coltivare l’illusione di un suo possibile ritorno.
Infatti, l’atto stesso della trasmissione in ogni tempo e in ogni luogo è “a rischio” per l’intrinseca precarietà che lo caratterizza. Si tratta cioè di un “meccanismo” molto delicato perché è il luogo in cui il nuovo e l’altro si fanno strada oltre ciò che lo precede. Il succedersi delle generazioni non è come un lungo fiume tranquillo. C’è poi un’altra considerazione che aiuta a non indulgere al catastrofismo, sempre così facile quando si parla di questa tema. La parola stessa “crisi” allude sì a un rischio, all’esposizione al pericolo, ma insieme essa annuncia la possibilità del nuovo. Il momento della crisi può essere un varco generatore di futuro inedito, l’incubazione di una rinascita attraverso la distretta……
……..La Chiesa, “esperta in umanità”, ha oggi più che mai da mettere in gioco quel tesoro prezioso che continuamente riceve dal suo Signore: la sapienza dei legami che tengono in vita e aprono la storia. Per trafficare questi suoi talenti, deve continuamente mettersi in presa diretta con la realtà così come essa si dà, lasciarsene coinvolgere e interrogare. La sua parola può allora risuonare persuasiva e dischiudere un cammino. Così saprà evitare il tono del rimpianto, della lamentazione o della rimozione, per abbracciare quello di intelligente accompagnamento, critico se necessario, ma insieme sempre cordiale. La crisi, soprattutto quella che tocca l’alleanza tra le generazioni, ci domanda un sagace discernimento dei segni di questo tempo, compito certo laborioso ma da svolgere con piena fiducia. Sappiamo infatti che la storia umana è abitata senza pentimento dallo spirito di Dio e che la fine di un mondo non è la fine del mondo, che i momenti critici misteriosamente preludono alla nascita del nuovo.

riduzione dell’intervento di Vincenzo Paglia, Arcivescovo, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, consigliere spirituale della Comunità di Sant’Egidio sul (Corriere della Sera, 14 novembre 2013)

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