La battaglia della Montagnola 8 – 10 settembre 1943

Alcune immagini dei tragici fatti del settembre 1943.

L’8 settembre 1943 dopo l’armistizio firmato dal Governo Badoglio le truppe tedesche attaccano le postazioni a difesa di Roma abbandonate dai comandi militari che avevano lasciato la truppa senza ordini e ufficiali superiori.

Tra il 9 ed il 10 settembre la prima forma di resistenza in Italia all’occupazione tedesca è esplosa alla Montagnola. Soldati, popolani, protetti per quello che era possibile dai sacerdoti e dalle suore, si opposero all’avanzata delle truppe germaniche sulla Laurentina.

La cronaca della battaglia può essere letta http al link ://www.roma8settembre1943.it/il-10-settembre/scontro-alla-montagnola/ oppure al canale youtube……..

In queste poche righe vorremmo raccontare più che il numero dei colpi sparati, la vita delle persone coinvolte.

 

8 settembre 1943, si diffonde la notizia dell’armistizio, la  Montagnola è in festa, è la gioia della sospirata pace che pregusta il ritorno dei parenti militari. Alle ore 23.00 giungono i canti dei Granatieri, accampati alla macchia delle Tre Fontane.

All’una di notte, in direzione dell’EUR 42. verso il ponte della Magliana (unico attraversamento del Tevere prima di ponte di ferro alla Piramide), si alza e si estende nel cielo una vasta illuminazione di fuochi di bengala, quindi spari e raffiche ripetute, impressionanti, seguiti da mortale silenzio.

9 settembre 1943,Don Pietro, parroco di Gesù Buon Pastore esce dall’attuale canonica (ora Via  Luigi Perna) e si recò alle 5 del mattino  all’Istituto Gaetano Giardino al Forte Ostiense, per celebrare la S Messa,  per le 35 suore infermiere, che assistono circa 400 orfani di guerra e minorati psichici. Mentre attraversa i campi  (non esiste lo svincolo Marcono Colombo …ma neanche la Marconi e la Colombo) incontrò alcuni Granatieri insanguinati e laceri per lo scontro armato della sera prima e li accompagnò alle case vicine per le medicazioni sommarie e per un po’ di acqua.  Un computo sommario parlò di 38 granatieri uccisi e una ventina di feriti.

La popolazione si stringe a questi suoi soldati e lava le ferite e i vestiti e ospita nelle case i più bisognosi di soccorso, di cibo e di cure. Tra i feriti c’è anche il granatiere Daniele Grappasonni la cui famiglia viveva alla strada V (via San Colombano). La mamma Adele era la presidente delle donne di Azione Cattolica della parrocchia.

10 Settembre La Mattina alle 5 Don Piero è al Forte Ostiense per la solita Messa alle suore e si rende conto dello smarrimento che regna. Gli ufficiali sono quasi tutti tornati a Roma……. dalle cucine si fa un’anticipata distribuzione di caffè perché i soldati sono sfiniti per la veglia di due notti. Tra la china del forte verso l’Ostiense, difeso dai Granatieri di Sardegna si

accampano due compagnie di bersaglieri e guastatori. Inizia il bombardamento.

I ragazzi, le ragazze e le suore, orfani, specialmente i minorati psichici e gli epilettici sono terrorizzati… le suore pregano coi ragazzi stesi sul pavimento inizia l’incendio del Forte ma la

resistenza invece è più accesa che mai. Arrivano i paracadutisti tedeschi (Diavoli Verdi) ed in poco tempo hanno la meglio. La battaglia durò mezza giornata.

Don Pietro alzò un drappo bianco preoccupato dei 400 ragazzi e trattò la resa con  un ufficiale Tedesco mentre le suore Alcantarine nascondevano nei locali del guardaroba e nei magazzini il maggior numero di granatieri, per travestirli con le bluse degli inservienti e degli operai mentre , altri vennero muniti d’improvvisati bracciali disegnati con croce rossa di sangue. Don Pietro accompagnò alla spicciolata fuori dal forte sui campi questi improvvisati crocerossini e li mise in salvo presso le famiglie della borgata. Altri granatieri tramutati in operai usciranno a loro volta in piccoli gruppi come liberi civili.

Nel frattempo il fornaio Quirino Roscioni, mutilato della prima guerra mondiale, dalla palazzina del suo forno (la struttura è ancora esistente all’incrocio tra Laurentina e Colombo) si oppose assieme ai suoi lavoranti e militari ai tedeschi. Una volta espugnato l’edificio gli fu permesso, assieme alla cognata Pasqua D’Angeli, madre di quattro figli, di recarsi presso la Chiesa ma vennero mitragliati, alle spalle, cadendo in un lago di sangue. Quella mattina aveva panificato le “ciriole” (pane tradizionale romano) per darle ai soldati italiani impegnati nei combattimenti contro i tedeschi.

Nei suoi memoriali Don Pietro racconta che “Lo spettacolo più tragico l’ebbi sulla Laurentina, ad ogni 50 metri un carro armato nostro fumante o nero o infocato, o sventrato dai colpi dei cannoncini anticarro dei tedeschi… coppie di carristi accanto o dentro all’infocata bara, ridotti a forme di mummie in un attimo, distrutti, talvolta, sino alla riduzione ad uno scheletro .”

Don Pietro ricorda anche di una popolana, oriunda abruzzese, Domenica Cecchinelli, 52 anni, madre di cinque figli, che accorse a coprire con una tovaglia il volto disfatto di un carrista e depose sul cuore bruciato un rosario. All’irrompere dei tedeschi, la donna si era rinchiusa in casa, rifiutando di riceverli e di cibarli. Le spararono attraverso il fragile uscio colpendola alle gambe, causandone la morte per dissanguamento.

In canonica furono allineati i morti, nove parrocchiani e sette militari, caduti nelle vicinanze della chiesa, che assommati ai cadaveri sparsi sul campo di battaglia, porteranno a 68 il numero dei caduti.

Vinta la battaglia e occupata la Montagnola uomini e donne e due sacerdoti, sono costretti a marciare con le mani in alto fino all’Acqua Acetosa e a Vallerano; è l’evacuazione forzata della borgata. I Tedeschi si danno al sacco delle case, delle cibarie, dell’oro, dei corredi da sposa, e finanche i rami e le conche delle umili cucine. Ai sacerdoti tolsero l’orologio e le biciclette, alle donne vigliaccamente tolsero gli orecchini, le catenelle, le spille e gli anelli.

Nella casa canonica e nella chiesa verso sera, oltre ai morti e ai feriti, cercarono rifugio i popolani… nel cuore della notte arrivano altri militari sbandati in cerca di abiti borghesi. Dopo aver esaurito il guardaroba, i sacerdoti furono costretti ad entrare nelle case lasciate vuote e rovistare nelle cassapanche dei parrocchiani assenti tanto gli usci erano stati sfondati dai tedeschi.

Con assi del cantiere della chiesa, una grossa sega e dei chiodi dell’armeria dei muratori, servendosi degli ospiti notturni, vennero preparate le bare per i morti. In otto grandi casse, della capienza di due salme ciascuna, vennero composti i cadaveri. Si scavò una alla meglio una vasta fossa per la sepoltura.

Una suora, improvvisatasi infermiera sul campo di battaglia, Suor Teresina di S. Anna (Cesarina D’Angelo)  affrontò in modo eroico un tedesco che rovistava tra i cadaveri dei soldati italiani in cerca di catenine d’oro. Il tedesco venne sorpreso e la suora si lanciò sul predatore, colpendolo in fronte con il crocefisso d’ottone non fermandosi neanche alla minaccia del mitra che il ladro le puntò al viso fino a farlo desistere.

Suor Teresina, nel prosieguo della battaglia, cercando i feriti rimase colpita e dopo tre mesi per le ferite morì.

In quei giorni si costituì la prima formazione di partigiani cristiani Avogadro Degli Azzoni forte di 80 giovani, per lo più dell’Associazione “Piergiorgio Frassati” (Azione Cattolica) , operante in tre gruppi: alla Montagnola, alla Collina Volpi e a Testaccio comandata generale Rodolfo Cortellessa.  Quattro giovani preti della parrocchia, li assistevano come ufficiali (Don Pietro avrà due stellette della Liberazione come Cappellano – ndr). Le grotte a due ordini della Chiesa saranno depositarie di un vero arsenale di “91”, mitra, baionette e di cassette di bombe a mano, disposte in ordine e rosseggianti come lucentissime mele nelle casse dal timbro di fabbrica: “Cera da Chiesa – Miralanza (Genova)”. Cinque ragazzi, una volta a settimana scendevano nelle grotte per dare il grasso alle armi».